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Una giornata in Franciacorta

27 Febbraio 2018
franciacorta

Oggi non si parla di cibo, ma di vino. Confesso che non sono una grande esperta, ma sicuramente sono una grande appassionata. Uno dei miei progetti futuri è quello di fare il corso di sommelier, proprio per poter conoscere tutte le sfumature del vino che bevo.

Vi racconto di un tour enogastronomico a cui ho partecipato alla fine di gennaio in Lombardia e, precisamente in Franciacorta, una zona collinare tra Brescia e l’estremità meridionale del Lago d’Iseo, dove viene prodotto l’omonimo vino spumante protagonista di aperitivi e cene.

Ultima cosa prima di iniziare il viaggio nella Franciacorta, nel mio articolo troverete molte parole francesi perché in ambito enologico hanno un certo primato, ma solo per i tecnicismi. In ogni caso, ho cercato di inserire la spiegazione italiana.

Franciacorta, un po’ di storia

L’assonanza tra Francia e Franciacorta è decisamente evidente, ma questo territorio non ha nulla a che vedere con i nostri vicini d’oltralpe, anche se una leggenda narra che Carlo Magno, re di Francia, mentre attraversava a cavallo questa zona, abbia esclamato “la mia piccola Francia”. Questa però è solo una leggenda, da lasciare a chi ha bevuto qualche bicchiere di troppo.

La Franciacorta è delimitata dal fiume Olio, dalla strada che collega Brescia a Bergamo, dalle Prealpi e dal lago di Iseo. Si tratta di un’area collinare che si è formata in seguito allo scioglimento dei ghiacciai e al deposito dei detriti morenici portati a valle. Questi detriti hanno formato un anfiteatro di colline che abbracciano quello che oggi è il centro della Franciacorta.

In realtà, nel Medioevo, quest’area era una zona paludosa e quindi per essere abitata doveva essere prima bonificata. La bonifica venne fatta dai monaci e, in cambio, non pagavano tasse sul soggiorno e sul passaggio. Da questo la zona venne definita francae curtes e quindi Franciacorta.

Quello che rende la zona adatta alla coltivazione dell’uva e alla produzione del vino è il clima mite in tutte le stagioni.

La Franciacorta oggi

La storia di queste colline continua nel tempo fino al 1990 quando, un gruppo di produttori locali, fondano il Consorzio della Franciacorta come forma di tutela e promozione del vino spumante prodotto in questa zona. È solo nel 1995 che la Franciacorta ottiene la DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) e diventa così il primo brut italiano a ottenere un tale riconoscimento.

Da questo momento il vino prodotto in questa zona non si chiamerà più (semplicemente) spumante, ma Franciacorta. Oggi la Franciacorta ospita 120 cantine.

Il vino, il Franciacorta

La Franciacorta è caratterizzata da varie tipologie di terroirNon si tratta semplicemente di “territorio”, ma è un concetto legato all’aspetto agricolo della terra e a quello che produce, indissolubilmente legato al lavoro dell’uomo (cit. Paolo Tegoni).

Per produrre il Franciacorta è concesso l’utilizzo di tre vitigni: chardonnay, pinot nero e pinot bianco. Queste uve cambiano la loro acidità in base a dove vengono piantate permettendo di creare in cantina la cuvée, ovvero la miscelazione dei vini. Questi due aspetti creano una identità unica denominata Franciacorta, anche se ogni cantina, grazie alla mano dell’uomo, distingue la sua personale filosofia in base alla cuvée che è in grado di creare.

La produzione del Franciacorta

Coltivazione, vendemmia, pressatura e prima fermentazione

Iniziamo dalle uve, perché il vino si fa in cantina ma prima ancora è importante il lavoro fuori dalla cantina, vale a dire tra colline e filari. La vendemmia viene fatta rigorosamente a mano e la pressatura delle uve viene definita “soffice”. Il mosto ottenuto viene addizionato con i lieviti (in modo da da permettere lo sviluppo dell’alcool) e rimane in contenitori di acciaio dai 5 ai 7 mesi. Questa è la prima fermentazione.

Imbottigliamento e seconda fermentazione

Passati i 5 o 7 mesi, viene creata la cuvée. I vini base ottenuti dalla prima fermentazione vengono mescolati per creare la cuvée perfetta, quasi come fa una strega con il suo pentolone mentre mescola mille ingredienti per creare pozioni miracolose. Possono essere miscelati dai 30 ai 100 vini base, permettendo così di mantenere un filo conduttore tra le annate, in base a quello che la natura ha da offrire ogni stagione.

A questo punto si arriva alla fase della creazione delle bollicine, aggiungendo alla cuvée una miscela di zuccheri e di altri lieviti (la liqueur de tirage), che si trasformeranno in anidiride carbonica e alcool. È importante sottolineare che in base alla quantità du zucchero contenuta nella liqueur de tirage la pressione in bottiglia cambia, distinguendo così due tipi di Franciacorta: brut e satèn.

Periodo di affinamento

L’affinamento sui lieviti è il passaggio successivo. Il vino viene imbottigliato e chiuso con un tappo a corona e le bottiglie vengono messe in posizione orizzontale dai 18 fino a oltre 60 mesi.

Passato il tempo, vanno tolti i lieviti altrimenti il vino acquisterebbe un gusto amaro. Per fare questo la natura aiuta con la forza di gravità: le bottiglie vengono inserite in orizzontale su delle pupitre (i cavalletti) e nell’arco di 28 giorni vengono ruotate e poste in posizione verticale, in modo che i lieviti finiscano di reagire sulla parete e si accumulino sul tappo.

Tramite il degorgement (in italiano sboccatura, termine che non si presta all’eleganza della produzione di un buon vino), i lieviti vengo definitivamente tolti dalle bottiglie.

Il livello del vino così si abbassa e viene fatto il rabbocco con la liqueur d’expedition, una miscela di zuccheri che determina il tipo di gusto per donare più o meno dolcezza al vino (brut, dry, extra dry, demi sec). La liqueur d’expedition viene aggiunta a tutte le tipologie di vino tranne che per il pas dosé, dove il rabbocco viene fatto con una miscela dello stesso vino.

Nella fase finale le bottiglie vengono tappate con il sughero ed etichettate. Passeranno poi altri 3 o 4 mesi in stoccaggio per rilassarsi un po’ prima di far rilassare noi sul divano di casa o al ristorante.

Le cantine che ho visitato

Contadi Castaldi

La prima cantina che ho visitato è quella denominata Contadi Castaldi. La cantina è completamente immersa nella natura. Ha una bellissima torretta panoramica dove vengono organizzati eventi e degustazioni che permette di ammirare il panorama tra una chiacchiera e un bicchiere di Franciacorta.

Anche se il nome ricorda casate nobiliari e famiglie importanti, in realtà non è così. Contadi fa riferimento alle contade (il nome degli appezzamenti di terra nel Medioevo) che venivano coltivate dai castaldi (i contadini proprietari terrieri). Un nome quindi che si radica profondamente nella trazione della zona.

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Logo dal sito Contadi Castaldi

Il logo invece è composto da due parti: il romboide a sinistra non è altro che lo spazio vuoto tra quattro bottiglie; il cerchio a destra è il fondo di una bottiglia.

Questa cantina produce circa 1.200.000 bottiglie.

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Una delle gallerie dove il vino riposa dopo essere stato imbottigliato era una vecchia fornace dove venivano cotti i mattoni e mantiene naturalmente una temperatura di 14-15 gradi, temperatura ottimale per il riposo del vino. Altro fattore importante è che la luce del sole, pericolosa per la maturazione del vino, non riesce a penetrare e l’umidità si mantiene intorno al 100%.
Tutto questo è fondamentale per la rifermentazione equilibrata del Franciacorta, visto che le bottiglie sono chiuse con un tappo a corona e il reflusso di aria è maggiore rispetto che in una classica barrique (botte).

Cosa mi ha colpita di questa cantina?

Lo scarto di uno è la ricchezza di un altro

Senza nulla togliere alla scenografia, mi ha colpita l’attenzione all’ambiente. Una tra le tante cose, il recupero dei lieviti che, una volta esausti, vengono recuperati. Lo scarto di lavorazione che si forma, vale a dire il tartrato (sali di potassio e calcio), viene venduto all’industria dell’allevamento come integratore alimentare completamente naturale.

E poi, come non menzionare il vino? 🙂 Tra quelli che ho assaggiato il mio preferito è stato il Satèn Millesimato.

Mosnel

La storia

Mosnel è un’azienda più piccola rispetto a Contadi Castaldi e con una storia importante che inizia nel 1427, quando la zona passa sotto il controllo della Repubblica di Venezia.

La famiglia Cacciamatta, come molte altre famiglie veneziane, costruisce in Franciacorta la sua residenza estiva, oggi parte della sede dell’azienda Mosnel. Nel 1836, l’unica discendente della famiglia e al tempo solo una bambina, viene affidata a un’altra famiglia di nobili della zona che porterà avanti la storia della cantina. Inizia così l’era della famiglia Barboglio che tutt’ora segue l’azienda. Emanuela Barboglio ebbe un ruolo importante nell’istituzione del Consorzio della Franciacorta, visto che fu una delle fondatrici.

L’azienda non si trova all’interno dell’anfiteatro collinare, ma al di là di quest’ultimo, in una zona più fresca e ventilata perché colpita direttamente dai venti che arrivano dalle Prealpi. Questo clima più fresco permette di produrre più pinot bianco rispetto al resto della Franciacorta. La produzione si concentra in soli 40 ettari di terreno in una singola zona. Per compensare la concentrazione della produzione, la prima fermentazione viene fatta in vasche di acciaio (verticali e orizzontali), ma anche in barrique.

Il nome dell’azienda “Mosnel” è collegato al territorio morenico e ai grossi sassi che lo compongono. Una volta i sassi venivano tolti a mano e accatastati uno sull’altro. Mosnel significa letteralmente “muro di sassi”, la collinetta che si è formata in seguito alla spietramento del terreno.

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Normalmente la produzione di Franciacorta si aggira intorno alle 250.000 bottiglie. Il 2017 però, a causa delle gelate, si contraddistingue per una produzione di180.000 bottiglie.

L’importanza delle barrique

mosnel-barricaie-franciacorta

Per creare un fattore distintivo e sopperire al fatto che la produzione è concentrata su una singola zona, per l’azienda è molto importante l’uso delle barrique anche per la prima fermentazione. Nella cuvée del brut, composta da un 60% di chardonnay, il 30% viene dalle barrique. Proprio per questo l’azienda ha due barricaie che in precedenza erano una stalla e un magazzino.

Le barrique vengono comprate nuove dalla Francia e sono in legno di rovere. Appena acquistate non vengono usate per il Franciacorta, ma per 2 anni viene lasciato del mosto di uve chardonnay per sgrassarle e pulirle. Questo mosto verrà poi usato per fare il passito.
Il terzo e quarto anno di vita della barrique è per le uve chardonnay per il satèn e il mosto viene lasciato riposare da 40 a 60 giorni.
Negli anni successivi le barrique vengono usate per i vini senza annata.
Una volta svuotate, le barrique vengono lavate con acqua calda e fredda e disinfettate. Le barrique vengono utilizzate fino a 20 anni.

Cosa mi ha colpita di questa cantina?

Il caso fa scoprire nuovi gusti

Il nuovo gusto che è stato scoperto “per caso” in questa cantina è il passito ottenuto da uve chardonnay. All’inizio il mosto veniva fatto riposare nelle barrique solo per prepararle ad accogliere le uve per il Franciacorta, ma si è scoperto che si otteneva un ottimo passito. Durante il suo riposo sviluppa sentori di miele e albicocche secche che lo rende perfetto per l’abbinamento con formaggi e dolci secchi. La produzione è comunque limitata, vale a dire 1500 bottiglie l’anno.

Un’altra cosa che mi ha colpito è che l’azienda nel 2011 ha avviato la conversione al bio a testimonianza della salvaguardia della natura circostante.

In ogni caso, il 95% della Franciacorta ha convertito le coltivazioni di uva al biologico, senza perdite nella produzione. Che non sia un esempio da seguire anche per altre zone in Italia?

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